Mancata consegna della contabilità al curatore: occorre dimostrare di voler danneggiare i creditori
La Cassazione torna a ribadire, nonostante l’orientamento contrario della dottrina, che per il reato di bancarotta fraudolenta documentale l’elemento soggettivo è diverso a seconda che si versi nell’ipotesi di sottrazione, distruzione, falsificazione – nel qual caso occorre lo scopo di recare a sé o ad altri ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori: la prospettazione è alternativa – o di comportamenti protesi a rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (ipotesi c.d. “generale”), nel qual caso è sufficiente la consapevolezza dell’agente che la confusa tenuta della contabilità può concretare l’evento del reato.
Il fatto
In sede di merito, un soggetto veniva condannato, quale amministratore di fatto, colpevole del reato di bancarotta fraudolenta documentale, per avere, allo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, sottratto e/o distrutto i libri e le altre scritture contabili della società o comunque per averli tenuti in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
In sede di ricorso per Cassazione la difesa contestava il fatto che l’imputato avesse mai avuto ingerenza nell’amministrazione della società essendosi limitato ad introdurre la coimputata, amministratrice formale, nel settore della commercializzazione di prodotti mediante la presentazione di alcuni fornitori; lo stesso era accaduto con le banche, godendo presso di esse di fiducia per i consolidati rapporti intrattenuti con le stesse, per favorire eventuali affidamenti; in tale contesto era quindi intervenuta la delega ad operare in banca in suo favore. In ogni caso difettava l’elemento soggettivo in ordine alla condotta di tenuta delle scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del movimento degli affari di talché sarebbe al più ipotizzabile la bancarotta semplice.
In secondo luogo, si lamentava l’omessa valutazione delle dichiarazioni del commercialista che aveva affermato che le scritture contabili gli erano state consegnate dalla dall’amministratrice formale e a quest’ultima qualche tempo dopo restituite, nonché di quelle del curatore con riferimento ai debiti della società e alla insussistenza di un pregiudizio ai creditori inesistenti. Di conseguenza non poteva ritenersi raggiunta la prova della colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio.
Infine, si evidenziava il contrasto esistente tra le deposizioni di alcuni testimoni nonché il travisamento del fatto per essersi escluse circostanze rilevanti non debitamente considerate dal giudice di merito (quali l’effettivo pregiudizio per i creditori a fronte di un passivo di soli euro 3000 e in ogni caso la possibile riconducibilità dell’atteggiamento psicologico alla mera negligenza o imprudenza).
La decisione
La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso. Il limite e la criticità della decisione è rinvenuto nella insufficiente valutazione circa la sussistenza del dolo specifico richiesto per la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
Secondo la Cassazione, infatti, la sentenza impugnata ha dato pienamente conto delle plurime circostanze emerse soprattutto attraverso la escussione dei testi che depongono per la riconducibilità della società al ricorrente e alla sua esclusiva amministrazione e gestione. Fu lui in realtà a rilevarla nel 2005 dai precedenti soci (mutandone l’originaria denominazione e l’oggetto sociale) ed ad indicare come socio unico cessionario di tutte le quote la coimputata nominata esclusivamente sulla carta come amministratrice formale, tant’è che dalla stessa veniva immediatamente rilasciata all’imputato la delega ad operare sul conto corrente intestato alla società (con relativo libretto di assegni firmato in bianco), mentre la sede sociale della società fallita è risultata inesistente essendo stata trasferita presso un immobile in locazione all’imputato presso cui avevano sede anche altre società amministrate dallo stesso parimenti operanti nel settore edilizio e via via dichiarate fallite.
Le osservazioni in senso contrario formulate dalla difesa non incidono in alcun modo, secondo la Cassazione, su tali considerazioni.
Diversamente per quanto riguarda il passaggio ricostruttivo dell’elemento soggettivo. All’imputato era stato contestato in via alternativa l’occultamento delle scritture contabili ovvero la loro tenuta in guisa tale da non consentire la ricostruzione del volume d’affari e del patrimonio della fallita, ma i giudici del merito giudizio hanno ritenuto consumata la prima delle due fattispecie, sostenendo però in maniera erronea – stante il fatto che le due ipotesi di reato descritte dall’art. 216, comma 1 n. 2 (fisica sottrazione delle scritture contabili alla disponibilità degli organi fallimentari e fraudolenta tenuta delle medesime) sono ipotesi diverse, distinte ed alternative (Cass., sez. V, 28 giugno 2017, n. 43966) – che la condotta di occultamento delle scritture contabili sarebbe stata posta in essere allo scopo, effettivamente conseguito, di determinare l’impossibilità di ricostruire il patrimonio ed il movimento degli affari.
Secondo la Cassazione, invece, la condotta di occultamento o sottrazione delle scritture contabili deve essere sostenuta dal dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori (Cass., sez. V, 23 aprile 2015, n. 17084) e su tale punto la decisione impugnata sarebbe del tutto carente, essendosi la Corte di Appello limitata ad affermare l’esistenza degli scopi specifici indicati dalla norma desumendoli unicamente dalla mancata consegna delle scritture al curatore (accompagnata dalla emissione di fatture per operazioni inesistenti la cui finalità non risulta peraltro neppure chiara, se da inquadrare cioè nell’ottica di non rendersi ricostruibile il movimento degli affari o nell’ambito di altra motivazione).